ARTENEWS

Sandra Giovannini vive e lavora a Rieti, insegna disegno e storia dell’arte. Le sue opere dagli anni ’80 in poi, si inseriscono nell’arte informale; le sue tele sono il prodotto di un complesso percorso, nel quale il rapporto con la forma via via è cambiato per privilegiare il colore, il contatto del colore con gli elementi, con la materia. Un breve richiamo alle coordinate dell’arte informale, termine che può essere ambiguo nel senso che racchiude esperienze pittoriche molto diverse ed i protagonisti declinano le coordinate. Il rifiuto della forma sia essa figurativa che astratta è, si potrebbe dire, rifiuto di un approccio, di una conoscenza razionale che da essa deriva, rifiuto che apre alla ricerca di modi in cui la forma di espressione non rimanda che a se stessa, irriducibile ad oggetti, immagini del mondo reale o psichico, privilegiando sia nell’artista che in chi guarda altri approcci. Nelle opere i Sandra Giovannini gli elementi tradizionali di espressione, linee, figure, forme vengono abbandonati, mentre ciò che acquista significato lo potremmo ricondurre a componenti fondamentali che si precisano nel gesto, nel colore e nella materia. Il gesto pittorico che produce il segno nasce da un impulso legato alla rapidità alla non premeditazione. Da qui il confronto con ampi spazi. Nascono così le grandi tele. Le grandi tele che dominano, che mettono soggezione “…. poi diventi più grande della tela e senti che puoi fare qualsiasi cosa. Il problema diviene gestire le masse di colore”.Sandra è una donna forte vigorosa , l’ ho vista lavorare, ho visto con quanta abilità e sapienza tocca le cose, gli oggetti li piega all’incontro con il colore o viceversa il colore viene assimilato dal materiale. Il colore diventa spessore, peso, nervatura e la materia si trasforma, perde i suoi connotati. L'impressione che le tele di Sandra Giovannini diano consistenza e tensione ad un movimento in chi guarda che descriverei come uno stare sulla soglia, un guardare fuori e dentro se stessi.Dalla bidimensionalità si passa alla tridimensionalità, le opere di Sandra aprono uno spazio dentro chi guarda.E’ il superamento di quello che “appare”, perché quello che tu vedi li, é di più di quello che sta dentro la tela.
Lasciar accadere l’arte è il paradosso di una resa consapevole e sembra proprio che Sandra Giovannini abbia fatto suo il mandato dell’arte nella sua pura accezione di creazione volta a “dire l’indicibile”.
R. Paolicchi

C'e' vigore, possanza fisica, ricerca del volume nei corpi disegnati da Maurizio Bonfanti. Caratteristiche che parrebbero assimilare il suo tratto alla fatica dello scultore piuttosto che alla perizia artigianale del disegnatore. E in parte e' vero, e' cosi': il pittore ed incisore bergamasco si misura, spesso a gessetto o con tecnica mista su carta, con la resistenza della materia, con lo spessore dello sfondo, con l'ardua indagine della luce tra pieni e vuoti delle sue figure umane, busti muscolosi, schiene arcuate, particolari resi con vitale realismo anatomico.
Ma sbaglierebbe chi li pensasse statici: nella tensione drammatica che li anima non si intravede pesantezza, puro rigore tecnico, per quanto il segno sia sostenuto da una cura formale difficile e rara. Le immagini sopravanzano i'con una energia propulsiva che ci conquista talvolta per la sua veemenzaî come annotava finemente Mario De Micheli, i'talaltra per il loro pervasivo fascino; e qualche volta per la loro eleganza raffinataî. Sfumano nell'ombra i dettagli, rimandano ad un oltre che non e' il nulla, ha una sua precisa consistenza, forse piu' reale di canali vascolari, muscoli tesi, posture contratte, esibite con sconcertante severità compositiva.Un'ombra che non cancella, dalla quale affiorano con sovrumano sforzo i tronchi senza volto di Bonfanti: che cosa impedisce il finito a questi impetuosi prigioni? Forse la consapevolezza di non poter cogliere il senso ultimo dell'uomo verso il quale si protende la domanda di Bonfanti, insieme anelante e rispettosa. Riecheggia nello spazio non disvelato la domanda sulla vita umana, sulla sua origine, il suo destino, che attraversa tutta la contemporaneità con esiti divaricanti: anima e corpo sono lacerati perche' l'uomo del terzo millennio, alienato a se stesso, non ritrova la propria identità, non ha fattezze da mostrare poiche' non ha verità da comunicare.
La risposta di Bonfanti, una risposta provvisoria, il punto su una mappa, come se ci indicasse che la sua ricerca non finisce qui, non e' disperata: oltre quelle figure non definite c'e' un'invocazione a Chi, solo, un volto veramente umano puo' donarlo.

Patrizia crede alla comunicazione, cioè all'intrinseca possibilità di trasmettere agli altri la propria visione, i propri sentimenti, il proprio giudizio...
E' dunque per questo che la sua scelta, sin dall'inizio, è stata quella di parlare con le immagini: l'immagine infatti è il tramite diretto della comunicazione, in quanto appartiene sia a chi la concepisce sia a chi la riguarda, avendo in sé la persuasione non generica di appartenere a ognuno di noi, l'intera comunità degli uomini. (...)
Sta di fatto che Patrizia Comand, nella morfologia dei suoi processi espressivi, coinvolge il dato più intimo di sé stessa, inducendo ogni altra inclinazione alla propria coerenza.
Cio' le consente un ritmo esecutivo largo e disteso, convinto delle proprie ragioni. E questo è il motivo per cui nelle sue composizioni sembra non vi sia mai sforzo o fatica come se le immagini le sgorgassero improvvise da un estro privo di ogni assillo, spontaneamente. (...)
Da qui nasce l'energia che l'assiste in ogni momento e le concede di risolvere sempre i problemi che si trova davanti. (...)E' come se Patrizia Comand fosse stata toccata da una grazia particolare: la grazia cioè di attingere al sentimento profondo della specie umana, in cui si celano i nostri enigmi più arcani alla radice dell'essere.

M. De Micheli

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